alterEGO

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molteplicità

sabato 22 gennaio 2011

Fredric e Ivonne

“Ma di che parli, Janis? È una follia! Tu, tu non sai badare neanche a te stessa, faresti la fine di Fredric e Ivonne!”
“La fi… la fine di… chi diavolo sono Fredric e Ivonne?!” proruppe Janis spalancando occhi e bocca.
“Ma si… la storia… conosci la storia… ? Si racconta dalle nostre parti, credevo fosse universale! È uno di quei classici, sai? Della serie Renzo e Lucia, o Bonnie e Clyde, capisci? Di quelle storie che ti spiegano il vero senso della vita raccontandoti come vanno realmente le cose. Nessun inganno fiabesco, insomma.

Ci sono questi due: Fredric, uomo d’affari, sulla quarantina, ben impostato, ancora seducentemente single, conosce Ivonne in un atelier in cui lei si “allena” per realizzare il suo sogno di stilista.
In realtà si potrebbe ben dire che lavorava lì, ma credo che non si possa essere dipendente di un superiore quando si ha della stoffa, soprattutto se si tratta di uno stilista!” concluse la frase con un riso soffocato, cui seguì qualche colpo di tosse imbarazzata dall’impassibilità di Janis, dopodiché riprese con la sua parlantina che pareva velocizzata da qualche supporto digitale “Ma comunque, bando alle ciance… Ivonne era una donna estremamente impegnata, soprattutto da quando era finita la relazione con suo marito.
Era durata davvero poco, appena due anni, niente figli, solo un cane, rimasto a lei.
Dopo quella delusione, Ivonne non volle più sentire parlare di uomini, e si dedicò a trecentosessanta gradi al suo lavoro, senza mai alzare il capo per vedere cosa le accadesse intorno.
Certo, il suo era un lavoro che richiedeva un gran da fare tra stoffe, tagli e notti a disegnare, finché un giorno Fredric si invaghì di lei: non aveva mai perso la testa per una donna, ed ora che era accaduto non intendeva affatto lasciarsela scappare ma, ovviamente, Ivonne non voleva neanche sentirne parlare e se lo lasciava girare attorno come un’ape con il miele.
Dal momento del primo incontro di sguardi certo si era sentita molto attratta da un così bell’uomo e lusingata dalle sue continue avances, ma riusciva a non distogliere mai l’attenzione dal suo lavoro.
Per Fredric, ovviamente, non si trattava di un semplice capriccio, d’altronde non aveva più l’età per poterselo permettere, per cui non gli interessava essere corrisposto nell’immediato, piuttosto aveva piacere a trascorrere del tempo con lei.
Ma Ivonne di tempo non ne aveva mai abbastanza per potersi concedere qualche svago, anche perché era stata lei a voler entrare in questo loop privo di pause.
Così lui la seguiva ovunque andasse, la accompagnava a fare le commissioni, continuando a ripeterle che doveva prendersi una pausa.

Nel frattempo, Janis continuava ad ascoltare con interesse: le piaceva ascoltare, anche quando i discorsi diventavano prolissi.

“Fino a quando, un mattino, Fredric si presentò allo studio di Ivonne, mentre disegnava, e con molta decisione le comunicò “Ivonne, conosco per fila e per segno tutti i tuoi impegni da qui a tre settimane, so che non hai un momento libero… ma ti vedo stressata, sono in pena per te… IVONNE, STASERA SEI MIA!”
Fu in quel momento che Ivonne decise di smetterla di fare la zitella acida, ma fu anche da quel momento che si accollò un ulteriore impegno alle sue giornate.
Morale della favola?”
“Ehm… avere un uomo è un peso.”
“Ah, ah no, cara. Morale della favola è: prima di prendere un impegno, verifica la tua disponibilità.”

Pietro Belsorriso

C’era una volta,
nel paese di Centofacce,un cagnetto bianco con le orecchie nere di nome Pietro.
Era noto con il nome di Pietro Belsorriso, per avere sempre stampato sul muso un sorriso sgargiante, di cui andava fierissimo.
Aveva denti bianchi e luccicanti, incorniciati da grosse labbra pendenti color petrolio, che andava a mostrare in giro per il paese, impettito ed orgoglioso della sua bellezza.
Non guardava mai per terra e camminava sempre con la testa alzata quindici gradi più del normale, con le zampe incrociate dietro la schiena, coda ritta e passo lento.
Tutti gli abitanti di Centofacce conoscevano Pietro Belsorriso e lo rispettavano e lo stimavano per mettere allegria nel paese.
Così, quando passava per le vie del centro, tutte le cagnette lo salutavano con riguardo richiamando all'attenzione i propri cuccioli, e quando arrivava nella piazza ̶ dove erano soliti riunirsi i loro mariti a discutere dei problemi del paese ̶ riceveva inchini e reverenze del tipo “Salute Don Pietro”, “Benvenuto Belsorriso”, “Ossequi Petruzzo”, e a tutti rispondeva con un cenno della testa, dedicando ad ognuno un sorriso personale ancora più accentuato.
Un giorno, sul calar del sole, mentre era sulla via del ritorno per casa dopo una lunga giornata trascorsa a passeggiare per le vie del paese, con la punta del naso rivolta verso il cielo, Pietro Belsorriso inciampò su qualcosa che gli era capitata tra i piedi al centro della strada.
Quando abbassò lo sguardo vide un gattino tutto nero con il petto squarciato che ansimava e respirava a fatica.
Il micetto lo guardò con occhi languidi e caritatevoli e disse “La prego signore, mi aiuti, sono stato investito. Per favore, ho solo bisogno di essere curato.”
Pietro impiegò un attimo per riflettere sul da farsi, poi pensò di portarlo a casa sua, ma prima si guardò intorno per assicurarsi che nessuno si accorgesse del suo gesto.
Giunti a casa, Pietro sistemò il gatto nel suo letto, e gli mise una pezza bagnata sulla fronte “Ora riposiamo” disse “domani mi aspetta una lunga giornata.”
L’indomani Pietro si svegliò, come di consueto, con il canto del gallo e trovò il gattino tutto sudato “Come ti senti amico mio?” gli disse “Male signore, forse avrei bisogno di una tazza di latte” rispose sottovoce il gattino “D’accordo, d’accordo” disse Pietro un po’ infastidito “ma sbrighiamoci. Io ho da fare, e tra dieci minuti devo essere fuori casa.”
Pietro mancò tutto il giorno e, quando tornò, il micetto dormiva profondamente, così preferì non svegliarlo.
Il giorno seguente Pietro trovò il gattino tremante nel letto “Signore sto male. Ho provato a chiamarla tutta la notte ma ho poche forze per gridare. Per cortesia, sarebbe così gentile da prepararmi una tazza di caffè? Forse mi aiuterà a sentirmi meglio” “Va bene micio, farò in fretta perché tra un po’ devo uscire.”
Anche questa giornata Pietro la trascorse interamente fuori casa, senza preoccuparsi del gattino, ma solo di mostrare il suo sorriso in paese.
Il terzo giorno il gattino era evidentemente stremato e probabilmente in fin di vita.
Quando Pietro si svegliò il micetto iniziò a piangere come un salice “Signore, sento che mi sto avvicinando alla fine” disse singhiozzando “per cortesia non mi faccia morire.”
Pietro, non sapendo che dire, rispose “Ma insomma, cos’altro posso fare per te? Ti ho accolto in casa mia, ti ho offerto il mio latte e ti ho ceduto il mio letto. Mi spiace mio caro, non sono un dottore e non so in che altro modo aiutarti.”
Al ché il micio irruppe dicendo “Posso farle una domanda indiscreta, signore?” “Prego” rispose Pietro senza timore, “Qual è il suo lavoro? Ha una famiglia da sfamare? Insomma, dove trascorre le sue giornate?”.
Pietro indossò un’espressione un po’ risentita, ma, dopo un minimo di esitazione riprese “Vedi amico, il mio non è un vero e proprio lavoro, ma è come se lo fosse. Io… diciamo che aiuto il paese a vivere serenamente” “In che senso signore? Può essere più chiaro?” chiese il gattino “Ecco, io mi aggiro per il paese distribuendo il mio sorriso, dal momento che ne ho uno così bello da poter soddisfare anche gli altri. Capisci?” “Ooh certo!” esclamò il gatto “Il suo è un nobile intento signore” e dopo una piccola pausa di riflessione riprese “Ma, visto che il suo è un cuore così benevolo, sarebbe così gentile da trascorrere un po’ di tempo con me, privandosi del suo sorriso?”
Pietro, che era accucciato accanto al letto, balzò in piedi con sgomento “Ma cosa ti salta in mente? Questa è la mia vita amico! Io vivo per questo e non permetterò a nessuno di privarmene! Ora sciò, fuori da casa mia” disse togliendogli in un sol gesto le coperte “Sono stato fin troppo buono con te, ora non so più come aiutarti.”
Il micetto non oppose resistenza, si alzò lentamente dal letto tossendo e toccandosi la ferita ancora dolente mentre Pietro, con le zampe conserte, teneva lo sguardo da un’altra parte. “Grazie per l’ospitalità signore” urlò il micino con tutto il fiato che gli era rimasto, trascinandosi fuori dalla porta.
Non curante dell’accaduto, Pietro uscì, come era solito fare, anche quel giorno con un sorriso impeccabile.
Giunto in paese iniziò a rendersi conto che nessuno gli porgeva i suoi saluti, ma inizialmente non ci fece caso più di tanto.
Quando arrivò nella piazza, tutti iniziarono a guardarlo in cagnesco e nessuno lo salutò.
Pietro non capiva il motivo di questo atteggiamento e continuava a sorridere, finché gli si avvicinò il sindaco del paese creandosi uno spazio in mezzo agli altri.
Don Pietro!” gli urlò avvicinandosi “Abbiamo una comunicazione da farle.”
Pietro per un attimo pensò che fosse finalmente arrivato il momento di ricevere qualche onorificenza da parte dei suoi compaesani, per cui si appropinquò al sindaco con un sorriso più grande che mai tendendogli la zampa.
Salve Don Pietro. Devo riferirle… con immenso dispiacere… che lei è espulso dal paese di Centofacce!”
Tutto il paese si sollevò in un verso di stupore, e il sorriso di Pietro si spense d’un tratto per la prima volta da quando tutti lo conoscevano.
Ed ecco che, da dietro alla imponente figura del sindaco, spuntò il gattino che Pietro aveva spietatamente abbandonato “Abbiamo trovato questo amico moribondo nei pressi della sua abitazione, e dopo una lunga insistenza siamo riusciti a farci raccontare la sua tragedia. Il suo è stato un comportamento a dir poco deplorevole… ed è per questo che sono costretto… a cacciarla da Centofacce!”
Tutti gli abitanti iniziarono ad urlare insulti contro Pietro, che a quel punto abbassò lo sguardo verso terra e tornò a casa a preparare le valigie per abbandonare il paese.
Da quel giorno il micio, guarito grazie alle attenzioni degli abitanti di Centofacce, divenne la mascotte del paese e portò realmente allegria nei cuori dei suoi abitanti.