alterEGO

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molteplicità

martedì 8 febbraio 2011

E se un creatore esistesse, io credo che andrebbe fiero dell'emancipazione da Sè stesso di chi procede nel senso corretto.
I suoi figli si sono divisi:
chi lo ha adorato smisuratamente, finendo per trascurare il proprio progresso, disonorando l'intelligenza di cui Egli stesso lo avrebbe dotato;
chi Lo ha ucciso, sentendosi solo, muffa incosistente a vita breve, costretto a coprire di visibile l'assenza di senso;
e chi, disciolte le redini dello svezzamento, ha accolto con piacere l'esperimento, dando il meglio di sè nella realizzazione del progetto, mutilo di trovate strategiche estranee ai piani.
E se un creatore esistesse, io credo che ne andrebbe fiero.

sabato 22 gennaio 2011

Fredric e Ivonne

“Ma di che parli, Janis? È una follia! Tu, tu non sai badare neanche a te stessa, faresti la fine di Fredric e Ivonne!”
“La fi… la fine di… chi diavolo sono Fredric e Ivonne?!” proruppe Janis spalancando occhi e bocca.
“Ma si… la storia… conosci la storia… ? Si racconta dalle nostre parti, credevo fosse universale! È uno di quei classici, sai? Della serie Renzo e Lucia, o Bonnie e Clyde, capisci? Di quelle storie che ti spiegano il vero senso della vita raccontandoti come vanno realmente le cose. Nessun inganno fiabesco, insomma.

Ci sono questi due: Fredric, uomo d’affari, sulla quarantina, ben impostato, ancora seducentemente single, conosce Ivonne in un atelier in cui lei si “allena” per realizzare il suo sogno di stilista.
In realtà si potrebbe ben dire che lavorava lì, ma credo che non si possa essere dipendente di un superiore quando si ha della stoffa, soprattutto se si tratta di uno stilista!” concluse la frase con un riso soffocato, cui seguì qualche colpo di tosse imbarazzata dall’impassibilità di Janis, dopodiché riprese con la sua parlantina che pareva velocizzata da qualche supporto digitale “Ma comunque, bando alle ciance… Ivonne era una donna estremamente impegnata, soprattutto da quando era finita la relazione con suo marito.
Era durata davvero poco, appena due anni, niente figli, solo un cane, rimasto a lei.
Dopo quella delusione, Ivonne non volle più sentire parlare di uomini, e si dedicò a trecentosessanta gradi al suo lavoro, senza mai alzare il capo per vedere cosa le accadesse intorno.
Certo, il suo era un lavoro che richiedeva un gran da fare tra stoffe, tagli e notti a disegnare, finché un giorno Fredric si invaghì di lei: non aveva mai perso la testa per una donna, ed ora che era accaduto non intendeva affatto lasciarsela scappare ma, ovviamente, Ivonne non voleva neanche sentirne parlare e se lo lasciava girare attorno come un’ape con il miele.
Dal momento del primo incontro di sguardi certo si era sentita molto attratta da un così bell’uomo e lusingata dalle sue continue avances, ma riusciva a non distogliere mai l’attenzione dal suo lavoro.
Per Fredric, ovviamente, non si trattava di un semplice capriccio, d’altronde non aveva più l’età per poterselo permettere, per cui non gli interessava essere corrisposto nell’immediato, piuttosto aveva piacere a trascorrere del tempo con lei.
Ma Ivonne di tempo non ne aveva mai abbastanza per potersi concedere qualche svago, anche perché era stata lei a voler entrare in questo loop privo di pause.
Così lui la seguiva ovunque andasse, la accompagnava a fare le commissioni, continuando a ripeterle che doveva prendersi una pausa.

Nel frattempo, Janis continuava ad ascoltare con interesse: le piaceva ascoltare, anche quando i discorsi diventavano prolissi.

“Fino a quando, un mattino, Fredric si presentò allo studio di Ivonne, mentre disegnava, e con molta decisione le comunicò “Ivonne, conosco per fila e per segno tutti i tuoi impegni da qui a tre settimane, so che non hai un momento libero… ma ti vedo stressata, sono in pena per te… IVONNE, STASERA SEI MIA!”
Fu in quel momento che Ivonne decise di smetterla di fare la zitella acida, ma fu anche da quel momento che si accollò un ulteriore impegno alle sue giornate.
Morale della favola?”
“Ehm… avere un uomo è un peso.”
“Ah, ah no, cara. Morale della favola è: prima di prendere un impegno, verifica la tua disponibilità.”

Pietro Belsorriso

C’era una volta,
nel paese di Centofacce,un cagnetto bianco con le orecchie nere di nome Pietro.
Era noto con il nome di Pietro Belsorriso, per avere sempre stampato sul muso un sorriso sgargiante, di cui andava fierissimo.
Aveva denti bianchi e luccicanti, incorniciati da grosse labbra pendenti color petrolio, che andava a mostrare in giro per il paese, impettito ed orgoglioso della sua bellezza.
Non guardava mai per terra e camminava sempre con la testa alzata quindici gradi più del normale, con le zampe incrociate dietro la schiena, coda ritta e passo lento.
Tutti gli abitanti di Centofacce conoscevano Pietro Belsorriso e lo rispettavano e lo stimavano per mettere allegria nel paese.
Così, quando passava per le vie del centro, tutte le cagnette lo salutavano con riguardo richiamando all'attenzione i propri cuccioli, e quando arrivava nella piazza ̶ dove erano soliti riunirsi i loro mariti a discutere dei problemi del paese ̶ riceveva inchini e reverenze del tipo “Salute Don Pietro”, “Benvenuto Belsorriso”, “Ossequi Petruzzo”, e a tutti rispondeva con un cenno della testa, dedicando ad ognuno un sorriso personale ancora più accentuato.
Un giorno, sul calar del sole, mentre era sulla via del ritorno per casa dopo una lunga giornata trascorsa a passeggiare per le vie del paese, con la punta del naso rivolta verso il cielo, Pietro Belsorriso inciampò su qualcosa che gli era capitata tra i piedi al centro della strada.
Quando abbassò lo sguardo vide un gattino tutto nero con il petto squarciato che ansimava e respirava a fatica.
Il micetto lo guardò con occhi languidi e caritatevoli e disse “La prego signore, mi aiuti, sono stato investito. Per favore, ho solo bisogno di essere curato.”
Pietro impiegò un attimo per riflettere sul da farsi, poi pensò di portarlo a casa sua, ma prima si guardò intorno per assicurarsi che nessuno si accorgesse del suo gesto.
Giunti a casa, Pietro sistemò il gatto nel suo letto, e gli mise una pezza bagnata sulla fronte “Ora riposiamo” disse “domani mi aspetta una lunga giornata.”
L’indomani Pietro si svegliò, come di consueto, con il canto del gallo e trovò il gattino tutto sudato “Come ti senti amico mio?” gli disse “Male signore, forse avrei bisogno di una tazza di latte” rispose sottovoce il gattino “D’accordo, d’accordo” disse Pietro un po’ infastidito “ma sbrighiamoci. Io ho da fare, e tra dieci minuti devo essere fuori casa.”
Pietro mancò tutto il giorno e, quando tornò, il micetto dormiva profondamente, così preferì non svegliarlo.
Il giorno seguente Pietro trovò il gattino tremante nel letto “Signore sto male. Ho provato a chiamarla tutta la notte ma ho poche forze per gridare. Per cortesia, sarebbe così gentile da prepararmi una tazza di caffè? Forse mi aiuterà a sentirmi meglio” “Va bene micio, farò in fretta perché tra un po’ devo uscire.”
Anche questa giornata Pietro la trascorse interamente fuori casa, senza preoccuparsi del gattino, ma solo di mostrare il suo sorriso in paese.
Il terzo giorno il gattino era evidentemente stremato e probabilmente in fin di vita.
Quando Pietro si svegliò il micetto iniziò a piangere come un salice “Signore, sento che mi sto avvicinando alla fine” disse singhiozzando “per cortesia non mi faccia morire.”
Pietro, non sapendo che dire, rispose “Ma insomma, cos’altro posso fare per te? Ti ho accolto in casa mia, ti ho offerto il mio latte e ti ho ceduto il mio letto. Mi spiace mio caro, non sono un dottore e non so in che altro modo aiutarti.”
Al ché il micio irruppe dicendo “Posso farle una domanda indiscreta, signore?” “Prego” rispose Pietro senza timore, “Qual è il suo lavoro? Ha una famiglia da sfamare? Insomma, dove trascorre le sue giornate?”.
Pietro indossò un’espressione un po’ risentita, ma, dopo un minimo di esitazione riprese “Vedi amico, il mio non è un vero e proprio lavoro, ma è come se lo fosse. Io… diciamo che aiuto il paese a vivere serenamente” “In che senso signore? Può essere più chiaro?” chiese il gattino “Ecco, io mi aggiro per il paese distribuendo il mio sorriso, dal momento che ne ho uno così bello da poter soddisfare anche gli altri. Capisci?” “Ooh certo!” esclamò il gatto “Il suo è un nobile intento signore” e dopo una piccola pausa di riflessione riprese “Ma, visto che il suo è un cuore così benevolo, sarebbe così gentile da trascorrere un po’ di tempo con me, privandosi del suo sorriso?”
Pietro, che era accucciato accanto al letto, balzò in piedi con sgomento “Ma cosa ti salta in mente? Questa è la mia vita amico! Io vivo per questo e non permetterò a nessuno di privarmene! Ora sciò, fuori da casa mia” disse togliendogli in un sol gesto le coperte “Sono stato fin troppo buono con te, ora non so più come aiutarti.”
Il micetto non oppose resistenza, si alzò lentamente dal letto tossendo e toccandosi la ferita ancora dolente mentre Pietro, con le zampe conserte, teneva lo sguardo da un’altra parte. “Grazie per l’ospitalità signore” urlò il micino con tutto il fiato che gli era rimasto, trascinandosi fuori dalla porta.
Non curante dell’accaduto, Pietro uscì, come era solito fare, anche quel giorno con un sorriso impeccabile.
Giunto in paese iniziò a rendersi conto che nessuno gli porgeva i suoi saluti, ma inizialmente non ci fece caso più di tanto.
Quando arrivò nella piazza, tutti iniziarono a guardarlo in cagnesco e nessuno lo salutò.
Pietro non capiva il motivo di questo atteggiamento e continuava a sorridere, finché gli si avvicinò il sindaco del paese creandosi uno spazio in mezzo agli altri.
Don Pietro!” gli urlò avvicinandosi “Abbiamo una comunicazione da farle.”
Pietro per un attimo pensò che fosse finalmente arrivato il momento di ricevere qualche onorificenza da parte dei suoi compaesani, per cui si appropinquò al sindaco con un sorriso più grande che mai tendendogli la zampa.
Salve Don Pietro. Devo riferirle… con immenso dispiacere… che lei è espulso dal paese di Centofacce!”
Tutto il paese si sollevò in un verso di stupore, e il sorriso di Pietro si spense d’un tratto per la prima volta da quando tutti lo conoscevano.
Ed ecco che, da dietro alla imponente figura del sindaco, spuntò il gattino che Pietro aveva spietatamente abbandonato “Abbiamo trovato questo amico moribondo nei pressi della sua abitazione, e dopo una lunga insistenza siamo riusciti a farci raccontare la sua tragedia. Il suo è stato un comportamento a dir poco deplorevole… ed è per questo che sono costretto… a cacciarla da Centofacce!”
Tutti gli abitanti iniziarono ad urlare insulti contro Pietro, che a quel punto abbassò lo sguardo verso terra e tornò a casa a preparare le valigie per abbandonare il paese.
Da quel giorno il micio, guarito grazie alle attenzioni degli abitanti di Centofacce, divenne la mascotte del paese e portò realmente allegria nei cuori dei suoi abitanti.

sabato 18 dicembre 2010

sabato 4 dicembre 2010

Piccolo terrestre anonimo.

Eccomi qui, questo è il segno del mio passaggio.
Ho trovato un mondo che ha percorso sicuramente la direzione sbagliata, tra le tante opzioni che poteva scegliere.
Un mondo triste, malato, insoddisfacente e senza rispetto.
Ho studiato il nostro passato, rendendomi conto che la situazione è la stessa da molto, molto tempo, e constatando che non poche persone dotate di una spiccata sensibilità hanno avuto l'accortezza di sottolineare gli errori (degli altri) ed individuare possibili soluzioni, ma nessuno ha mai dato retta loro, qualcuno è anche stato ucciso per questo.
Ho trovato un mondo in cui non riesco ad adattarmi, e so che sarà così fino alla fine, e mi stupisco, ancora, di pensare che persone molto potenti non riescano ad arrivare a soluzioni così semplici.
Mi è capitato di parlare con qualcuno che non si rassegnava all'idea che sarebbe dovuto morire, prima o poi, e immaginava sregolati processi della medicina per raggiungere la tanto desiderata immortalità.
Al ché mi è venuto spontaneo chiedergli se si rendesse conto che, in quel caso, dopo un certo periodo, non necessariamente quantificabile, ma relativamente breve, data la rapidità con cui avverrebbe, saremmo diventati talmente tanti che non avremmo avuto più lo spazio nemmeno per camminare.
Ma questa sarebbe solo una, minima, conseguenza rispetto alle sue concatenate.
La sua proposta è stata di bloccare le nascite!
Sarei d'accordo con una moderazione, tutt'al più, in qualche caso limite, ma interrompere il ricambio generazionale per favorire qualche miliardo di persone che, dalla comparsa dell'uomo sulla terra ad oggi, rappresentano la peggiore “evoluzione” che l'uomo abbia potuto scegliere, credo sia una consapevole condanna a morte del pianeta che ci ospita.
Tra l'altro gli ho detto “Se proprio vuoi essere immortale, lascia un segno del tuo passaggio, che – ricollegandoci al discorso – potrebbero essere anche i tuoi figli!”.
E, invece, l'unica idea che l'uomo è riuscito a farsi venire in mente, per essere ricordato, è stata costruire delle città di ossa in cui continuare a pagare anche da morto per avere il suo nome scritto con delle placchette di ferro. “Oh, si ricorderanno sicuramente di te! Pensare di contribuire allo sviluppo e alla salvaguardia del genere forse è un pensiero troppo complesso per questo stupido uomo.”
Ma, ormai, credo che difficilmente potrà cambiare qualcosa, salvo che la natura ci regali una qualche catastrofe dopo cui poter ricominciare.
Questa è la mia testimonianza, amici terrestri, che valuterete quando io sicuramente non sarò più tra voi, e mi auguro che vi sarete evoluti fino ad allora.

martedì 30 novembre 2010

Misantropo. ( /miˈzantropo/ :persona che odia o non si fida dell'umanità. Benché i misantropi esprimano avversione per l'umanità in generale, tendono ad avere relazioni personali normali con altri individui. La misantropia può essere motivata da sentimenti di isolamento o alienazione. La misantropia può assumere forma di arroganza culturale, quando una persona prova avversione verso l'umanità per una percezione di superiorità mentale sugli altri. Fonte: Wikipedia)

-Mi spiace, non riesco a riderne- penso tra me e me, mentre i due uomini che siedono due posti avanti non sono in grado di venire a capo di una discussione piuttosto semplice da risolvere, invadendo il mio campo percettivo.
Una donna negli abiti adatti alla sua età, appena salita alla diciassettesima fermata, mi chiede, con poca gentilezza, se può sedersi accanto a me, dopodiché mi obbliga ad ascoltare i suoi sfoghi, stimolando l'insorgere delle mie considerazioni personali intorno alla vita “Non siamo costretti a vivere così se non ci piace, sa?” Ma che colpa ne ha l'inconsapevole vecchietta.
Ho sempre nutrito una notevole compassione nei confronti dei “sottosviluppati”, che non rifiuto mai di ascoltare, e non di sicuro per il mio animo cortese.
Qualche volta ci ho provato a svegliarli dal loro stato di ipnosi, provando a spiegare le mie teorie, ma molto spesso mi sono arreso, e con il tempo ho capito che è un'impresa impossibile cercare di sostituire anni di lavaggi del cervello, pur di fronte a tesi inconfutabili e lapalissiane.
“Nonna, Gesù ha proclamato la povertà, come fai a supportare questo impero dorato?”
Mi spingo ancora un po' oltre in un elenco di dati storici, ma poi mi accorgo che dovrei dedicare la mia intera vita per convincere una sola persona, e forse non basterebbe, a fronte di un martellamento secolare.
Nel frattempo, la signora con la voglia di parlare arriva alla sua fermata, mentre io continuo ad annuire con lo sguardo annebbiato dallo stordimento. “Arrivederci.” la solita cortesia.
-Non sono convinto che il mondo avrebbe dovuto prendere questa piega, per niente.-
Continuo a pensare, mi rosolo nella inattuabilità (o inattualità) dei miei pensieri - Ma il mio desiderio di libertà può mai valer meno di una insensata società?-
Quando mio padre mi parlava della sua infanzia in uno sperduto paesino roccioso, tra ruscelli, boschi e serpenti, di fronte all'entusiasmo che provava per piccolissime gioie, la povertà in cui viveva scompare, e quasi si fa desiderare.
-Non dico che l'uomo avrebbe dovuto accettare di vivere nella miseria, solo che non ha saputo gestire il progresso e conciliarlo con lo sviluppo intellettuale del suo popolo.-
E parlo della mia Italia quando dico questo.
-Basta davvero cambiare i confini geografici e unire delle genti sotto lo stesso nome per creare un popolo? “L'Italia è fatta!” Grazie Garibaldi! Qualcuno avrebbe dovuto “fare gli italiani”, insegnarci a parlare l'italiano (o il fiorentino, o il milanese, o quello che è!?). Niente di tutto questo si è realizzato, ma continuiamo a festeggiare l' “Unità”.-
La ragazza seduta dietro al conducente avrà su per giù 25 anni; ha due figli, uno aggrappato alla sua gola, l'altro, più grandicello, seduto accanto a lei, con le gambe penzoloni, ogni tanto riceve qualche schiaffo, ma mai per il giusto motivo.
Ha una faccia incattivita, la madre; suo marito con molta probabilità lavora in una di quelle industrie super-inquinanti respirando polveri nocive durante i suoi turni, ma ne ringrazia l'esistenza perché “gli dà da mangiare”.
Mio nonno lo faceva mangiare l'orticello che coltivava; aveva una casetta modesta, mentre l'operaio del giorno d'oggi ha in casa la tv 50”, e se non ce l'ha si indebita per comprarla.
-A me non piace affatto vivere in una società in cui si dà più importanza alle cose futili, mentre quelle primarie si spostano in secondo piano; ma a me non piace vivere in una società, forse è un caso limite.-
Sorrido alla probabile moglie dell'operaio, ma suo figlio di circa otto anni mi lancia un'occhiataccia, così sposto lo sguardo fuori dal finestrino.
-Eppure è così bello. Direi che ne vale proprio la pena. Ma non in questo modo, mi ostino, non così.
Il mare, il sole.. mi piacciono! Aspetto solo di trovare il posto adatto a me per trasferirmi; mi sa tanto che sarò costretto a lasciare la mia amata Italia. Del resto, ne amo solo il passato.
Avremmo dovuto lasciare ogni cosa al suo posto, invece ci preoccupiamo di allungarci la vita e poi ci lamentiamo del sovraffollamento, della disoccupazione, della povertà dilagante.
Io non mi compro la Ferrari sapendo di non poterla mantenere; un esempio comune, ma efficace.
Ma io neanche la voglio la Ferrari, la macchina serve per spostarsi. E' tutto qui il segreto, uomo! Inventa e crea cose utili, ma poi fermati! Ci sono altre cose a cui badare. Non lo capisce: venale fino a perdere il lume della ragione.
E' un vero peccato che sia andata così, sarebbe stato sicuramente più bello vivere con quel poco che, ben curato, diventa tanto.-
“Ehi signore, siamo arrivati al capolinea.” mi intima il conducente.
-Tanto meglio- “Quand'è la corsa successiva?” ride. Non si dovrebbe ridere quando siamo a conoscenza di informazioni che altri non sanno “Deve cambiare mezzo se non vuol rimanere qui!”
-Mi ricorda qualcosa questa vicenda..- e ricomincio a pensare.

lunedì 29 novembre 2010

Dalla pioggia.

Che serve riso,
Nel pianto di ciò che conciso
so svolgersi senza eccezioni?
Non salvano le religioni,
né bianca, né nera, seppure
s'arrogano le punizioni
e in vita ci san redarguire.

Eretica etica!
Se Socrate spiega l'errore
e insegna che cosa sia il bene,
e l'uomo ammaestrato da Dante
non pecca per solo timore,
che serve ch'io abbia ragione?

Amaro destino
portiamoci appresso,consorte:
conoscere già che una fine
al termine segna il confine.
Si vive aspettando la Morte,
fuggendola all'occasione.

Tristingenua illusione!
Sapendo che quando Lei vuole
ci prende e ci porta di là.
E noi qui a montare palchetti
a raccapezzarci tra storie
cercandoci una posizione
più comoda per riposare.

“Non serve il tuo nome.”
“Ma come?!
Io ansimo per affermarmi,
trascuro un po' tutto
a miei danni
vivendo tra flebili affanni!”
“E guarda que' ricchi e potenti,
(o forse direi prepotenti)
non pensano che in un momento
potrebbe' anche loro perire?”
Oh sì che ci pensano invece!
Lo fanno financo a tue spese
perchè a mutilare il Paese
il tempo rendetteli eroi.

Goccia a goccia
giungendomi, pioggia, al cospetto
m'infondi un profondo rispetto
pel mondo che m'ospita, zitto.
Predici il tuo arrivo coprendo
di grigio improvviso l'azzurro
le luci mi calano, avverto
un certo fastidio,bizzarro.
E quando poi calano l'ombre
e inizio a sentire un rumore,
picchiettio d'acque sonore,
che cadono a ritmo cadente
prim' piano, poi con più ardore,
m'affaccio alla soglia, e già so
di trovarti.